Maternità: in Afghanistan è un percorso a ostacoli
Mahsa, Mehruma, Mehran, Mahnaz: questi quattro gemelli sono nati qualche giorno fa nel nostro Centro di maternità, in Afghanistan.
“Poter partorire nel vostro ospedale è stata una benedizione”, ci ha detto la madre. “A Kabul, sarei stata costretta a partorire in casa”. Con molti rischi, per lei e per i bambini.
Era partita proprio dalla capitale per venire in Panshir, dove si trova anche il nostro Centro, a far visita ad alcuni parenti.
E proprio mentre era da loro è iniziato il travaglio.
Vive nella periferia di Kabul, in una comunità molto povera. Non ha latte materno a sufficienza per tutti e quattro e dovrà trovarne altro da comprare: il pensiero di come sfamare propri figli è costante.
“Il primo giorno dopo il parto era felice che tutto fosse andato per il meglio”, racconta il nostro team di Anabah. “Ma nonostante il sollievo di essersi ritrovata al posto giusto nel momento giusto per i suoi bambini, ci ha spiegato che le difficoltà economiche non avrebbero permesso a lei e suo marito di tornare con regolarità ad Anabah per sottoporre i figli alle visite di controllo.”
Sono sempre più povere e fragili le madri che riceviamo, molte di loro anche malnutrite: un’altra delle conseguenze della grave crisi umanitaria afgana. E le molteplici barriere all’accesso alle cure, le distanze, i costi rendono anche la maternità un vero e proprio percorso a ostacoli.
Con una media di 600 parti sicuri al mese, ad Anabah siamo accanto alle donne in ogni fase del loro percorso materno e rispondiamo ai bisogni di salute materno-infantile, che in molte zone del Paese restano disattesi.
Non abbandoniamo l’Afghanistan.