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Suicidio di Hamid Badoui: il “modello Albania” produce sofferenza e morte

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Il Tavolo Asilo e Immigrazione esprime profondo dolore e rabbia per la morte di Hamid Badoui, cittadino marocchino di 42 anni, suicidatosi nel carcere di Torino. In Italia da oltre dieci anni, Hamid aveva dichiarato al suo avvocato: «È meglio il carcere del CPR, in Albania non ci torno». La sua morte è l’effetto diretto di politiche strutturali di segregazione ed esclusione che colpiscono le persone con background migratorio.

Il “modello Albania” – promosso dal governo italiano come strumento innovativo di gestione delle migrazioni – esaspera ulteriormente questa logica: strutture extraterritoriali, isolamento geografico, accesso difficoltoso e limitato alle garanzie legali, ostacoli all’accesso al diritto alla salute, detenzione amministrativa diffusa e usata in maniera punitiva, anziché come extrema ratio prevista dal diritto internazionale.

Nei CPR in Italia e nei nuovi centri in Albania le persone vivono in condizioni degradanti, senza accesso a cure adeguate, in un clima di costante abbandono e assenza di informazioni. Le proteste, gli atti di autolesionismo, i suicidi sono il sintomo più visibile di un sistema pensato per isolare e punire. La morte di Hamid Badoui è la conseguenza diretta di un impianto politico che fa della paura e della coercizione strumenti di (non)gestione della mobilità umana. La conversione in legge del nuovo Decreto Albania avvenuta ieri attraverso il voto di fiducia al Senato conferma la strategia del governo di puntare su politiche che non rispettano i diritti fondamentali delle persone, in virtù di un approccio puramente propagandistico.

Per questo il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede con urgenza:

  • L’interruzione dei trasferimenti verso l’Albania, che replicano fuori dal territorio nazionale le stesse dinamiche di segregazione e violenza presenti nei Cpr in Italia.
  • Un’indagine indipendente sulle responsabilità istituzionali legate alla morte di Hamid Badoui, e su tutte le violazioni sistemiche nei centri di detenzione amministrativa. 
  • L’apertura di un dibattito pubblico sul fallimento delle misure di detenzione amministrativa e delle politiche di delocalizzazione della detenzione e sulla necessità di modelli alternativi, fondati su accoglienza, verità, giustizia e diritti. L’Italia e l’UE necessitano di politiche giuste e praticabili e non di propaganda.

Ogni volta che un essere umano si toglie la vita per non essere risucchiato da questo sistema, siamo di fronte al radicale fallimento delle politiche pubbliche applicate alle persone con background migratorio. Continuare a sostenere il “modello Albania” significa essere complici di un regime di detenzione e respingimento che produce esclusione, sofferenza, morte.

Cosa abbiamo visto visitando il CPR di Gjadër in Albania

Durante la nostra seconda visita di monitoraggio in Albania – come parte del gruppo di lavoro del TAI (Tavolo Asilo e Immigrazione) – abbiamo potuto constatare nuovamente la realtà dei CPR.

“Non-luoghi” in cui l’Italia spedisce le persone che si sono viste respingere la domanda di asilo e sono in attesa di espulsione verso i Paesi di origine che figurano nella lista dei “paesi sicuri” stilata dall’UE.

“Qui le persone vivono in una condizione carceraria, senza avere cognizione del tempo: dalle testimonianze raccolte, circa due terzi di loro assume psicofarmaci.” Nei loro racconti emergono parole di smarrimento e paura: «qui si perde la testa», «mi sembra di stare in un canile», «che fine faremo?»

Questa è la testimonianza di Roberto Maccaroni (Responsabile sanitario Area Migrazione di EMERGENCY) all’uscita del CPR di Gjadër.