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“Siamo tutti uguali, dall’inizio alla fine.” Hamid, l’Imam di Ashti che costruisce la pace

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Anche se la guerra gli ha messo di fronte le sfide più grandi, distruggendo la sua casa e aggravando le sue condizioni di salute, lui ha scelto la pace. Nel campo di Ashti, Kurdistan iracheno — dove ha trovato rifugio oltre 5 anni fa — Hamid ha inaugurato una moschea per permettere a chiunque di poter pregare.

Sei anni fa, insieme alla sua famiglia, è stato costretto a fuggire da Yathrib, nel governatorato di Salah al-Din a 50 kilometri a Nord di Baghdad: gli scontri tra ISIS e le forze armate irachene non lasciavano scampo, bisognava scappare. Tra i bombardamenti, viene distrutta anche la moschea di cui era l’Imam.

Ad Ashti, Hamid è anche uno dei 300 pazienti cronici del nostro Centro sanitario nel campo.

“Soffro di ipertensione e diabete, per vivere ho sempre bisogno di farmaci”— ci racconta.

Una volta trovato rifugio ad Ashti, che oggi ospita oltre 11.000 persone tra profughi della guerra e della povertà, Hamid ha chiesto agli amministratori del campo di poter inaugurare una moschea, per continuare la propria missione.

Una volta arrivato qui con mia moglie e i nostri figli, ho chiesto al camp manager se ci fosse una tenda un po’ più grande per trasformarla in moschea. Appena ho ricevuto il primo permesso, sono dovuto andare negli uffici del Ministero, a Sulaimaniya, per una seconda autorizzazione.”

Quella di Hamid è la seconda moschea aperta dentro al campo di Ashti. Ogni venerdì, circa 350 fedeli si riuniscono nella tenda-moschea per pregare: le persone spesso si sistemano anche all’esterno della struttura, dove vengono stesi tappeti per quelli che non riescono a entrare.

Sapere di potere aiutare le persone anche in questo modo mi fa sentire importante. Certo, la moschea della mia città era più bella, così come la mia casa. Ma essere una guida e un punto di riferimento per gli abitanti di questo campo mi rende orgoglioso di quello che faccio.

Nonostante la guerra e la precarietà della sua vita, a 52 anni Hamid continua a guardare avanti, avere dei progetti, dei sogni. È laureato in letteratura araba, ma vuole continuare a studiare e specializzarsi:

“Sto frequentando l’università di Tikrit. Il mio sogno è diventare professore. Mi sono appena iscritto, il corso dura quattro anni.”

In questo campo brulicante di storie, testimonianze, vita passata, presente e futura, c’è ancora il coraggio di perseverare affinché la guerra possa lasciare spazio – il prima possibile – alla pace e la vita possa tornare quella di prima.

“Abbiamo una vita in comune: nasciamo insieme, viviamo insieme e finiamo insieme.”