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Life Support: sbarcati a Ravenna gli 82 naufraghi soccorsi

22 Aprile 2025

SBARCATI OGGI A RAVENNA GLI 82 NAUFRAGHI SOCCORSI IN ACQUE INTERNAZIONALI DELLA ZONA SAR LIBICA

DOMENICO PUGLIESE, COMANDANTE DELLA LIFE SUPPORT: “LE OPERAZIONI SI SONO SVOLTE SENZA DIFFICOLTÀ, AUGURIAMO IL MEGLIO ALLE PERSONE SOCCORSE”

UN MINORE NON ACCOMPAGNATO A BORDO TESTIMONIA: “QUELLO CHE HO VISSUTO IN LIBIA È PEGGIO DELLA GUERRA: PARLATE DI CHI È ANCORA IN PRIGIONE LÌ IN CONDIZIONI DISUMANE”

LA TUTELA DELLA VITA IN MARE E UNA MISSIONE SAR EUROPEA, QUESTE LE PRIME RACCOMANDAZIONI DEL REPORT “IL CONFINE DISUMANO – SALVARE VITE NEL MEDITERRANEO CENTRALE” DI EMERGENCY

Milano, 22 aprile 2025 – Si è concluso alle ore 16:20 di oggi nel porto di Ravenna lo sbarco delle 82 persone soccorse dalla Life Support di EMERGENCY nelle acque internazionali della zona Sar libica.

“Lo sbarco si è svolto senza difficoltà, ringrazio le autorità e i volontari che ci hanno assistito contribuendo con la loro collaborazione a rendere le operazioni veloci e serene – commenta Domenico Pugliese, comandante della Life Support -. Ora che tutti i naufraghi sono finalmente al sicuro a terra non possiamo che augurare loro il meglio per il futuro.”

Giovedì 17 aprile, la Life Support aveva effettuato un’operazione di soccorso in acque internazionali, portando in salvo 82 persone, tra cui 27 minori. I naufraghi si trovavano in acqua da più di quattordici ore su un gommone sovraffollato e con i tubolari sgonfi. Dopo aver completato il soccorso e aver informato le autorità competenti alla Life Support di EMERGENCY era stato assegnato il POS (Place of Safety) di Ravenna, a oltre 900 miglia dal punto in cui è stato effettuato il soccorso.

Chiara Picciocchi, mediatrice culturale a bordo della Life Support: “Mi ha colpito molto la storia di una madre sola che è partita con sua figlia, affrontando un viaggio pericoloso e difficile, per riuscire a garantire a sé stessa e a lei una vita migliore. Auguro alle due donne e a tutti i naufraghi di vedere realizzati i loro sogni.”

Le 82 persone soccorse, di cui 11 donne, 1 ragazza minore non accompagnata, 2 bambine accompagnate, 23 ragazzi minori non accompagnati e un bambino accompagnato, hanno riferito di essere partite da Zawiya in Libia.

“Sono arrivato in Libia nel 2023, lì mi hanno subito messo in prigione per nove mesi, la mia famiglia ha dovuto pagare 10.000 dollari per farmi uscire – racconta un minore non accompagnato soccorso dalla Life Support -. Dopo il rilascio i trafficanti mi hanno portato a Tripoli, ma lì sono stato arrestato di nuovo e portato nella prigione di Oussama. Per uscire, chiedevano altri 10.000 dollari. In quella prigione non c’è vita. Le persone muoiono lì dentro, non ci sono vestiti, non c’è cibo, non c’è acqua. Si viene picchiati, si muore. Solo pagando si può uscire.”

“Sono scappato dall’Etiopia al Sudan, ma anche lì c’era la guerra – prosegue il ragazzo –. Non avevo mai pensato di venire in Europa, ma ovunque andassi trovavo violenza. Però quello che ho vissuto in Libia è peggio della guerra. Ora che sono finalmente al sicuro mi sento come se fossi nato una seconda volta e vi chiedo solo una cosa: parlate di chi è ancora in prigione in Libia. Persone che vivono in condizioni disumane e che non hanno voce, ma che voi potete far sentire”.

I naufraghi provengono da Sudan, Eritrea, Etiopia, Ghana, Nigeria e Togo. Paesi che sono devastati da conflitti armati, instabilità politica, povertà e crisi climatica.

Una giovane donna soccorsa dalla Life Support di EMERGENCY racconta: “Nel mio Paese c’era la guerra, sono stata ferita ad una gamba e dopo essermi rimessa, ho iniziato il viaggio. Ero con altri cinque ragazzi. I trafficanti hanno subito provato ad abusare di me sessualmente, io continuavo a rifiutarmi e allora hanno cominciato a picchiarmi con il calcio della pistola. Nel deserto del Sahara ci davano da bere acqua mischiata con la benzina, non avevamo diritto a cibo né acqua, se chiedevamo qualcosa ci picchiavano. Poi ci hanno nascosto in una prigione, dove continuavo a sanguinare e ad essere picchiata su tutto il corpo. Quando finalmente ci hanno rilasciati, ci hanno venduti ai poliziotti libici e siamo stati imprigionati nuovamente.”

“Anche lì ci torturavano, in quella seconda prigione ho visto cose terribili – racconta ancora la donna soccorsa –   alcune donne sono morte, una madre somala non riusciva ad allattare il suo bambino perché non aveva latte così il piccolo è morto. Non avrei mai immaginato che il viaggio potesse diventare così disumano. Noi eritrei ed etiopi cristiani venivamo trattati peggio degli altri, peggio dei musulmani. Solo quando la mia famiglia è riuscita a raccogliere 2.200 dollari, mi hanno lasciata andare. Ancora oggi non riesco a credere di aver attraversato il mare, mi sembra un sogno. Chiedo a chiunque possa farlo, di aiutare chi è ancora nelle carceri libiche. Spero di poter aiutare la mia famiglia, il mio sogno è riuscire a portarli in Europa e averli vicini.”

Come evidenziato dal report “Il confine disumano – Salvare vite nel Mediterraneo centrale” di EMERGENCY, la prassi del governo di assegnare porti di sbarco distanti dalla zona operativa alle navi Sar della flotta civile già nel 2024 ha costretto la sua nave Life Support e i naufraghi a bordo a percorrere in media 630 miglia nautiche in più a missione, impiegando oltre tre giorni di navigazione. Per andare e poi tornare in zona operativa, inoltre, lo scorso anno sono stati necessari 59 giorni di navigazione aggiuntiva. Un tempo prezioso sottratto all’attività di ricerca e soccorso.

E proprio per salvaguardare il diritto alla vita in mare EMERGENCY fa all’Italia, all’Ue alle organizzazioni internazionali cinque raccomandazioni. La prima è quella di porre la tutela della vita in mare al centro di ogni decisione che riguarda il Mediterraneo centrale e rafforzare la capacità di ricerca e soccorso in mare, attivando una missione SAR europea. La seconda prevede di riconoscere il ruolo umanitario delle Ong, abbandonando qualsiasi pratica di criminalizzazione, abrogando il decreto Piantedosi e assicurando l’assegnazione di porti di sbarco più vicini. La terza chiede di interrompere ogni azione a supporto dei respingimenti verso Libia e Tunisia che non possono essere considerati un luogo sicuro per lo sbarco dei naufraghi, revocando il Memorandum Italia-Libia e il Memorandum d’Intesa fra Ue e Tunisia e di non replicare le politiche di esternalizzazione in Paesi terzi. La quarta sollecita a revocare il Protocollo Italia-Albania, chiudere i centri albanesi e dirottare i finanziamenti per rafforzare il sistema d’accoglienza, garantendo dei percorsi efficaci di inclusione sociale. L’ultima chiede di investire in programmi di cooperazione di lungo periodo per il rafforzamento delle comunità e dei servizi nei Paesi di origine e transito e garantire ed ampliare vie di accesso sicure e legali in Europa.

La Life Support, con un equipaggio composto da marittimi, medici, infermieri, mediatori e soccorritori, ha concluso la sua 31/a missione nel Mediterraneo centrale, operando in questa regione dal dicembre 2022. Durante questo periodo, la nave ha soccorso un totale di 2.783 persone.

È possibile leggere il report “Il confine disumano – Salvare vite nel Mediterraneo centrale” su questo sito.