Non restare a guardare
Il report sul primo anno di soccorsi in mare
della Life Support
A dicembre 2022 la Life Support partiva per la sua prima missione.
Con il report “Non restare a guardare: un anno di soccorsi in mare della Life Support” vogliamo raccontare il primo anno di missioni di ricerca e soccorso con la nostra nave, i risultati, le difficoltà e gli ostacoli incontrati dai naufraghi e dai nostri operatori nel Mediterraneo centrale, il contesto politico e umanitario e l’attuale approccio europeo e italiano alle migrazioni.
Attraverso la raccolta di testimonianze dei sopravvissuti e di casi avvenuti durante le operazioni di ricerca e soccorso (SAR – Search and Rescue), raccontiamo che cosa significhi salvare vite in mare e perché sia un dovere imprescindibile.
Un obbligo sancito dal diritto internazionale marittimo e dalle molteplici Convenzioni SAR, ma che non trova risposta nell’agenda politica europea.
Dopo la conclusione di Mare Nostrum (2014) infatti, il progressivo disimpegno istituzionale si scontra con l’urgenza di garantire assistenza a chi è in pericolo sulla pericolosa traversata del Mediterraneo centrale.
I numeri del nostro primo anno in mare
Il report “Non restare a guardare” ripercorre il nostro primo anno in mare attraverso il racconto delle delle missioni svolte e delle operazioni di soccorso condotte in acque internazionali, che hanno portato al salvataggio di 1.219 persone.
Dai Paesi di origine dei sopravvissuti alle attività mediche a bordo; dalle segnalazioni dei casi di distress alle testimonianze raccolte dai nostri mediatori e mediatrici culturali: il report documenta la vita a bordo dal punto di vista dello staff sanitario e non sanitario, dell’equipaggio e delle persone soccorse.
In uno spazio umanitario sempre più ridotto, conseguente alla continua criminalizzazione contro le ONG impegnate in mare, il report testimonia anche le conseguenze di una strategia migratoria europea fondata sulla esternalizzazione delle frontiere.
Gli effetti sono le violazioni di diritti umani in Paesi terzi come Libia e Tunisia e gli effetti di pratiche persistenti o nuove a livello nazionale come il “codice di condotta”, una serie di condizioni presenti nel Decreto Piantedosi che le ONG sono tenute a rispettare durante l’attività di Search and Rescue.
Le persone che salviamo in mare non sono abituate a essere prese in carico da qualcuno. Per mesi, talvolta per anni, nessuno si è preso cura di loro. Circa la metà delle persone che abbiamo visitato riporta patologie, spesso traumi, che risalgono ai mesi precedenti il salvataggio. Quando le vediamo in ambulatorio, dopo mesi in cui sono rimaste neglette, si sono spesso cronicizzate. Questo vale anche per le loro condizioni psicologiche. In questo primo anno di attività, non abbiamo avuto a bordo casi clinici gravi o che richiedessero un’evacuazione medica immediata. Ci ritroviamo così a scrivere alle autorità sanitarie la generica formula “condizioni generali: buone/discrete”. Questa è forse una verità clinica, ma è una grossa inesattezza fattuale. Nessuno direbbe di loro, dopo quello che hanno passato, che possano stare bene.
Roberto Maccaroni, Responsabile sanitario Life Support
Il Decreto Piantedosi e i porti lontani
Tra le misure del “Decreto Piantedosi”, un atto legislativo del Governo tramutato nella legge n. 15/2023, che contiene “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, è stata introdotta una sistematica prassi di assegnazione alle navi delle ONG di porti molto distanti dalle aree in cui viene effettuata l’operazione di soccorso.
In un anno di attività, abbiamo portato a termine 24 operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa al mondo, percorrendo quasi 40.000 km per 105 giorni in totale.
Per raggiungere i porti lontani – assegnati dal Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo italiano – la Life Support ha percorso in media 630 miglia nautiche, impiegando 3,5 giorni di navigazione a missione.
I viaggi per arrivare ai porti e tornare nel Mediterraneo hanno comportato 56 giorni di navigazione in più rispetto a un porto nel Sud Italia, allontanando le navi dalle zone SAR, sottraendo tempo prezioso alle attività di ricerca e soccorso.
Per questi giorni di navigazione non necessari, EMERGENCY ha dovuto sostenere una spesa di 938.248 euro.
La fotografia dei flussi migratori via mare nel 2023
Ogni anno, migliaia di persone intraprendono la pericolosa traversata del Mediterraneo per fuggire da guerre, persecuzioni, violazioni di diritti umani, cambiamenti climatici, povertà… in cerca di condizioni migliori in cui vivere. Per raggiungere le coste europee, salgono a bordo di barche fatiscenti e sovraffollate, organizzante dai trafficanti di esseri umani.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), il 2023 è stato l’anno peggiore di tutto il decennio: 8.565 persone hanno perso la vita lungo le rotte migratorie di tutto il mondo. Si tratta del dato più alto mai registrato dal 2014, anno in cui le sono iniziate a essere tracciate in modo sistematico le morti e le sparizioni dei migranti sulle rotte battute.
Nel 2023, nel Mediterraneo centrale, i “missing migrants” sono stati 2.734. Una media di più di 7 ogni giorno.
L’Italia rappresenta il primo Paese di approdo con 157.301 arrivi. Il 12% di loro erano minori stranieri non accompagnati (MSNA).
Per la sua entità, questa crisi umanitaria dei diritti fondamentali dovrebbe essere affrontata superando le strumentalizzazioni politiche e col supporto di società civile e istituzioni. Tuttavia, ciò che prevale è un atteggiamento securitario e ostile: l’assegnazione di porti di sbarco distanti, il divieto di eseguire soccorsi multipli, le omissioni di soccorso, accordi e protocolli che appaltano a Paesi terzi il contenimento dei flussi, le intercettazioni e i pushback sono solo alcune delle scelte operate dai Governi, che considerano la migrazione come un problema da risolvere e non come una questione strutturale del nostro tempo.
Un anno in mare
al fianco di chi fugge per cercare un futuro migliore
Per rispondere a questa crisi umanitaria, abbiamo scelto di fare direttamente la nostra parte, in un progetto necessario per aumentare la possibilità di vita di chi fugge verso l’Europa e per ribadire la necessità di un approccio umanitario, che valorizzi anche gli assetti della società civile.
Riteniamo che il soccorso di persone in pericolo di vita sia un dovere, quanto l’impegno che da 30 anni dedichiamo alle vittime di guerra e povertà nei nostri ospedali nel mondo.