La Commissione europea ritarda la decisione sulla legge italiana che limita il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo mentre il bilancio delle vittime aumenta
Nell’ambito dei meccanismi di reclamo dell’Unione europea[1], la Commissione europea (CE) è venuta meno all’impegno di valutare, entro 12 mesi, cinque denunce distinte che richiedevano di indagare sulle leggi e le prassi italiane che ostacolano le attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale.
Nel luglio 2023, cinque importanti organizzazioni non governative – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), EMERGENCY, Medici Senza Frontiere (MSF), Oxfam Italia e SOS Humanity – hanno presentato cinque distinte denunce sul decreto-legge 1/2023[2] e sulla pratica delle autorità italiane di assegnare sistematicamente porti distanti per lo sbarco dei sopravvissuti salvati in mare.
Le ONG sostengono che il decreto-legge e la prassi di assegnazione dei porti di sbarco distanti non sono in linea con gli obblighi degli Stati membri dell’UE ai sensi del diritto marittimo europeo e internazionale e della legge internazionale sui diritti umani, e che rappresentano un ostacolo sistematico alle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.
“In qualità di custode dei trattati, la Commissione europea è tenuta a garantire che gli Stati membri rispettino il diritto dell’UE e la sua applicazione uniforme“, afferma Marie Michel, Policy Expert di SOS Humanity.
Come previsto dai meccanismi di denuncia dell’Unione europea, la Commissione europea deve condividere una valutazione preliminare del reclamo entro due mesi dalla registrazione e deve decidere se avviare una procedura formale su una violazione del diritto dell’UE da parte di uno Stato membro entro un anno.
“Dopo un anno di attesa, la Commissione ha comunicato di aver bisogno di più tempo per esaminare le nostre denunce”, afferma Juan Matias Gil, Capomissione per le attività di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere (MSF). “Temporeggiando, la Commissione perpetua l’ostruzione sistematica del salvataggio di vite umane nel Mediterraneo. Non possiamo perdere altro tempo perché il numero di persone che muoiono in mare è in aumento”.
Il decreto-legge 1/2023 stabilisce che, a seguito di un salvataggio in mare, le navi di ricerca e soccorso umanitario debbano navigare direttamente e senza ritardo verso il Pos (Place of safety) assegnato, impedendo loro di effettuare più di un’operazione di salvataggio alla volta. Ciò implica che le navi non dovrebbero assistere altre imbarcazioni in difficoltà nell’area, contravvenendo all’obbligo sancito dal diritto internazionale di fornire assistenza in mare alle persone in difficoltà, e nonostante l’enorme carenza di capacità di soccorso nel Mediterraneo centrale – una rotta sulla quale, secondo i dati raccolti, solo quest’anno sarebbero scomparse 893 persone[3].
In base alla pratica dell’assegnazione dei porti di sbarco distanti – che non è inclusa in nessuna legislazione italiana, ma è diventata prassi comune dal dicembre 2022 – alle navi di ricerca e soccorso vengono sistematicamente assegnati porti nel nord anziché nel sud Italia. Questo si ripercuote sia sulle persone soccorse, la cui condizione è già estremamente vulnerabile, sia sulle navi delle ONG, aumentando notevolmente i tempi di navigazione.
“La pratica di assegnare porti distanti è una violazione del diritto internazionale“, afferma Francesca Bocchini, responsabile advocacy di EMERGENCY. “Esaspera le sofferenze delle persone soccorse ritardando il loro accesso ai servizi essenziali, dirotta risorse finanziarie dalle operazioni di salvataggio e allontana le navi di ricerca e soccorso dalle aree in cui sono più necessarie“.
Secondo le stime di SOS Humanity, dal 2023 i giorni di navigazione aggiuntivi necessari per raggiungere porti lontani hanno fatto perdere alle navi delle ONG un totale di 520 giorni che avrebbero potuto essere dedicati al salvataggio di altre persone in difficoltà in mare.
Secondo i dati raccolti da SOS Humanity, il decreto-legge 1/2023 è stato utilizzato in 22 casi per fermare le navi di ricerca e soccorso umanitario nei porti italiani, per un totale di 480 giorni di detenzione. In alcuni di questi casi, il fermo è stato giustificato con la presunta mancata osservanza da parte delle navi di ricerca e soccorso delle istruzioni della guardia costiera libica durante le operazioni di salvataggio in acque internazionali. Tuttavia, i tribunali italiani hanno successivamente dichiarato illegittime alcune di queste detenzioni, da ultimo il Tribunale di Crotone[4].
“È stato sancito da diversi tribunali italiani che l’uso di questa legge viola gli obblighi stabiliti dalle convenzioni internazionali sul diritto del mare e i diritti di associazione e libertà di opinione delle organizzazioni della società civile, inclusi anche nei trattati dell’UE“, afferma Lucia Gennari dell’ASGI. “Si tratta di violazioni che non possono essere ignorate dalle istituzioni europee“.
“Chiediamo alla Commissione europea di esaminare le nostre denunce e di intraprendere un’azione immediata per affrontare l’ostruzionismo legale e amministrativo da parte delle autorità italiane alle attività di ricerca e soccorso della flotta civile“, afferma Michel. “L’Europa non può rimanere in silenzio mentre i leader dei suoi stati membri formulano leggi irresponsabili che mettono ulteriormente a rischio la vita delle persone in mare“.