“Life Support”: le testimonianze delle persone che abbiamo soccorso nel Mediterraneo
Provengono da più di 25 Paesi le persone soccorse dalla Life Support da dicembre 2022: Mali, Sudan, Senegal ma anche Bangladesh, Palestina, Siria… Dall’Africa al Medio Oriente, portano con sé storie diverse e speranze di una vita migliore, lontano da guerre, povertà, discriminazioni.
Tanti ci raccontano di lunghi viaggi, mesi o anni in cammino fino ai Paesi costieri di transito: la Libia e la Tunisia.
Qui vi riportiamo le parole che alcuni di loro hanno condiviso con il nostro staff.
“L’ho capito molto presto…”
“Vengo dal Sud Sudan, ma dal 2011 me ne sono andato per fuggire dai conflitti nel mio paese.
Con la mia famiglia siamo prima andati in un campo per rifugiati in Kenya, poi in uno in Uganda e infine nel 2017 siamo andati in Sudan, a Khartoum.
Sono stati anni molto difficili, senza stabilità, sicurezza, mi sentivo sempre estraneo alla situazione intorno a me.
A Khartoum vivevamo nel campo di Mayo, dove mi ricordo che EMERGENCY aveva un ospedale per bambini. Per fortuna io non ci sono mai dovuto andare, ma ho degli amici che sono stati portati lì per farsi curare.
Nel 2020 ho deciso di andare in Libia per provare a raggiungere l’Europa, non vedevo possibilità per me a Khartoum.”
La sua famiglia, invece, è rimasta a Khartoum, dove da oltre un anno si combatte un conflitto di cui il mondo sembra essersi dimenticato, ma che nel Paese ha provocato il maggior numero di sfollati interni al mondo.
Qui siamo presenti dal 2003, pur con le molte difficoltà legale al conflitto continua a operare nel Paese con ospedali, cliniche e centri pediatrici per assistere la popolazione e garantire il diritto alle cure, nella speranza che la guerra possa finire al più presto.
“Dal Sudan alla Libia è stato un viaggio difficile e pericoloso, soprattutto nella zona di deserto tra il Sudan e la Libia dove molte persone che viaggiavano con me hanno perso la vita.
In Libia la situazione per le persone subsahariane è davvero difficile, non sapevo quanta discriminazione razziale ci fosse in quel Paese, ma l’ho capito molto presto. Sono stati 4 anni davvero lunghi, anche perché buona parte di quel tempo l’ho passata in prigione. Il momento più difficile è stato quando sono stato per 5 mesi in prigione e mi sono anche ammalato, per settimane non riuscivo ad alzarmi in piedi, pensavo di morire.
Spero che in Europa io e tutte le persone che sono state soccorse insieme a me saremo trattati con rispetto, che avremo la possibilità di crearci una nuova vita lontano dai conflitti e dall’ingiustizia”.
Un ragazzo di 22 anni proveniente dal Sud Sudan | soccorso il 26 giugno 2023
“Ce ne siamo andate senza dire niente a nessuno. Non sanno che sono qui adesso, come io non sapevo dove sarei andata dopo aver lasciato il Ghana”
“Sono partita dal Ghana circa un anno fa insieme a una mia amica. – racconta una ragazza di 25 anni – Il Ghana è un bellissimo Paese ma ha molti problemi da risolvere. Ero stata minacciata da un uomo e avevo paura di restare nella mia città. La mia famiglia era preoccupata, avevano paura che lui mi avrebbe fatto del male. Un’amica mi ha convinta a partire, non so se ce l’avrei fatta da sola.
Ce ne siamo andate senza dire niente a nessuno. Non sanno che sono qui adesso, come io non sapevo dove sarei andata dopo aver lasciato il Ghana. Sapevo solo che dovevo attraversare il deserto per lasciare i miei problemi alle spalle.
Spero di riuscire ad aiutare la mia amica che è rimasta in Libia. I libici sono persone molto pericolose, soprattutto con le donne, e ho paura per lei.”
Una ragazza proveniente dal Ghana | soccorsa il 3 maggio 2024
“In Libia non succede nulla di tutto questo”
“È stato difficile conservare lo spirito del Ramadan durante il nostro percorso migratorio. Il digiuno non è un atto meccanico: ha a che fare con la socialità, lo stare insieme, il condividere. In Libia non succede nulla di tutto questo: non avevamo cibo nemmeno per noi, morivamo di fame, non potevamo condividere nulla”.
“È una questione di fratellanza. La stessa che abbiamo trovato a bordo della vostra nave”, ci ha detto mentre viaggiavamo.
“Ecco cosa potrò dire ai miei figli”
“Nel mio Paese non c’è nessuna libertà di espressione. Ho passato più di sei anni in prigione per aver criticato il governo su Facebook.
Per sopravvivere la mia famiglia ha dovuto spendere tutti i risparmi, abbiamo anche dovuto vendere il nostro negozio. Tutto costa molto di più rispetto a pochi anni fa, non c’è lavoro, ero rovinato. Ho tre figli da mantenere: per questo ho preso la decisione di partire. ‘O muoio o arrivo in Italia’, mi dicevo. In Egitto ero già morto”.
Quello stesso Egitto con cui l’Europa sta stringendo accordi “sul controllo delle frontiere” finanziati con milioni di euro. A bordo della Life Support, dopo essere stato soccorso insieme ad altre 51 persone, ci ha raccontato il suo viaggio:
“Ho dovuto prendere in prestito da mio padre i soldi per partire, erano i suoi ultimi risparmi… Ho detto ai miei figli che avrei preso un traghetto, altrimenti sarebbero stati troppo in ansia. Sono stato in mare tante volte, sono a mio agio in acqua, ma la nostra barca faceva come una montagna russa, entrava acqua da tutte le parti, sembrava potesse girarsi da un momento all’altro, Ho avuto paura per tutto il tempo.
Ma una volta a terra, potrò finalmente dire ai miei figli che ero pronto a sacrificare tutto pur di dar loro una possibilità di avere una vita migliore”.
Un padre egiziano | soccorso a marzo 2024
“Non potevo restare in un Paese dove la violenza è usata al posto della legge”
“Ho lasciato il mio Paese, il Bangladesh, perché non potevo sostenere la mia famiglia. Sono arrivato in Libia circa sei mesi fa per lavorare perché un conoscente mi aveva detto che avrei trovato facilmente un lavoro, che la vita costava poco e avrei avuto un buono stipendio.
Avevo poche altre opzioni, così ho deciso di lasciare la mia famiglia per mettermi in viaggio. Arrivato in Libia, insieme ad altre persone del mio Paese sono stato portato in un capannone fuori da Bengasi; ci hanno detto che avremmo iniziato a lavorare ma che saremmo stati pagati dopo tre mesi di lavoro.
Allo scadere di questo periodo, mi hanno detto che non mi avrebbero pagato e che dovevo andarmene se non volevo che mi facessero del male. Ho capito che chi mi aveva convito a partire veniva pagato dai libici per far arrivare persone dal Bangladesh e sfruttarle.
Non potevo restare in un Paese dove la violenza è usata al posto della legge. Ci ho messo tre mesi per farmi mandare dalla mia famiglia i soldi necessari per pagare il viaggio in mare. Ora sono al sicuro.”
Un ragazzo di 29 anni, dal Bangladesh | Soccorso a marzo 2024
“Al resto non ci voglio ancora pensare”
“Vengo dall’Africa sub-sahariana, sono partito per colpa della guerra e dei conflitti continui nella mia regione.
Un giorno ci sono state delle sparatorie nella mia città e io e la mia famiglia siamo scappati, ma in direzioni diverse e non ho più avuto loro notizie. Ancora oggi non so cosa gli sia successo.
Dopo essere scappato sono andato da mia zia, che vive in Congo, dove ho lavorato per alcuni mesi trasportando carichi pesanti con i camion. Poi mi sono trasferito in Camerun, dove avevo degli amici, e quindi in Ciad dove sono finito a lavorare in una miniera d’oro nel deserto vicino al confine con la Libia.
Dormivamo su pezzi di cartone per terra, eravamo in condizione di schiavitù perché ci obbligavano a lavorare minacciandoci con le armi, e non potevamo andarcene.
Dopo appena tre mesi sono arrivati dei libici armati che ci hanno portato via: ci siamo ritrovati in una prigione e dovevamo pagare un riscatto per farci liberare. Io non avevo soldi e nessun familiare o amico da contattare. Ne sono uscito solo perché mi hanno venduto a un agricoltore libico che mi ha portato nella sua fattoria a guardare i suoi animali, dove sono stato per alcuni mesi senza essere pagato.
Finché come ‘premio’ per il mio lavoro sono arrivati altri libici armati e mi hanno portato con loro. Mi hanno detto che mi avrebbero portato in Europa. Pensavo che sarei andato su un traghetto ed ero felice. Poi ho visto su che barca avrei dovuto attraversare il mare: un piccolo gommone sovraccarico e senza protezioni.
Ho avuto molta paura, mi hanno costretto a salire con le armi. Per fortuna siamo sopravvissuti al viaggio, ma non ho idea di cosa aspettarmi dall’Europa e di cosa mi riserva il futuro. Per ora mi basta essere vivo. Al resto non voglio ancora pensare”.
— Una delle persone soccorse nella missione 15 della Life Support | novembre 2023
“Il mio sogno più grande”
“Me ne sono andato dalla Siria nel 2017. C’è molta instabilità, c’è la guerra, puoi venire rapito o ucciso in qualsiasi momento senza motivo.
Me ne sono andato, prima in Sudan e poi in Libano, per cercare una vita migliore.
Ho lavorato per la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, era un lavoro che mi appassionava molto ma ho dovuto lasciare anche il Libano per la devastante crisi economica che ha colpito il Paese negli ultimi anni.
Quindi sono andato in Libia. Lì venivo discriminato quotidianamente perché siriano.
Allora ho preso una decisione estrema: partire con la barca per l’Europa. La seconda volta che ci ho provato ce l’ho fatta, anche grazie a voi.
Spero di riuscire a lavorare nel campo umanitario anche in Europa, è il mio sogno più grande”.
A.N., 27 anni, dalla Siria | Soccorso a novembre 2023
“Vorrei solo vivere una vita dignitosa e libera.”
“Vengo dal Tigray, in Etiopia. Sono fuggito dal mio Paese per colpa della guerra.
Da più di un anno nella mia regione c’è l’obbligo di arruolarsi per almeno un membro della famiglia, anche le donne, altrimenti si viene uccisi.
Nella mia famiglia siamo rimasti solo io e mia madre: è stata lei a dirmi di andarmene, prima che venissero le milizie a cercarmi. Sono prima scappato a Addis Abeba, ma lì non potevo studiare o lavorare…
Se avessero scoperto che ero del Tigray mi avrebbero imprigionato e rimandato indietro. Quindi sono fuggito in Sudan e poi in Libia, dove ho passato otto mesi in carcere.
A volte ci appendevano per i piedi e ci picchiavano con dei tubi, chiamando le nostre famiglie per fargli sentire le nostre urla e farsi mandare i soldi del riscatto più velocemente.
Mia madre ha dovuto vendere il suo appartamento per liberarmi. Vorrei solo vivere una vita dignitosa e libera.”
F.L., 21 anni, dall’Etiopia | Soccorso a novembre 2023
“Voglio solo vivere in pace e in libertà.”
“Voglio solo vivere in pace e in libertà”.
È un ragazzo siriano a dircelo, a bordo della Life Support. Ha lasciato il suo Paese, racconta, “per le difficili condizioni di vita e della situazione politica. A causa della guerra, quando un giovane diventa maggiorenne è obbligato a prestare servizio nell’esercito per diversi anni, di solito dieci”.
“Sono partito perché non volevo diventare un soldato, vorrei invece finire i miei studi in giurisprudenza. Non è stato facile arrivare fino a qui e sono sicuro che ci saranno altre difficoltà una volta arrivato in Europa, ma sono determinato e non voglio perdere la speranza. Voglio supportare la mia famiglia come posso e ripagare l’Europa per la sua accoglienza, attraverso il mio lavoro”.
I., 27 anni, dalla Siria | soccorso a ottobre 2023
“La vita in Siria è molto difficile”
“Vengo dalla Siria. Anni fa, ero ancora bambina, la mia famiglia e io siamo scappati in Giordania: la vita in Siria è molto difficile, ci sono conflitti, non c’è libertà di espressione, non potevo ricevere nessun tipo di educazione.
In Giordania potevo studiare, ma solo la sera: noi stranieri, in Giordania, potevamo seguire solo la scuola serale.
Di giorno dovevo lavorare, la sera seguire le lezioni era difficile, ero molto stanca.”
Sul ponte della Life Support, F. ci ha raccontato la sua storia e le motivazioni che l’hanno spinta a provare la traversata del Mediterraneo.
“Vorrei studiare scienze infermieristiche e ostetriche. Spero di riuscire a completare i miei studi in Europa e poter aiutare le persone. Come fate voi a bordo di questa nave.”
F., 23 anni, dalla Siria | soccorsa a settembre 2023
Tre mesi in Libia “sono bastati a farmi vedere cose orribili”
“Sono partito dall’Egitto perché la vita lì è diventata insostenibile: non si trova lavoro, è tutto troppo costoso, diventa complicato anche permettersi da mangiare. A volte non riuscivo nemmeno a comprare del pane per i miei fratelli e sorelle… È vivere questo?”
È per sfamare la sua famiglia che F. ha lasciato l’Egitto. “Per cercare lavoro e poter mandare dei soldi a casa. È la mia responsabilità verso la mia famiglia”.
Prima di riuscire a partire è stato in Libia, per tre mesi. “Sono bastati a farmi vedere cose orribili”.
“Ci tenevano in una casa piccolissima, ci trattavano come animali. Ci picchiavano ogni giorno, a volte senza motivo, solo per il gusto di farlo, altre per farsi mandare più soldi dai nostri familiari. È stato terribile”.
Quando ha visto la Life Support, ci dice, “avevo paura che foste libici. Stavo per buttarmi in mare, avrei preferito morire annegato piuttosto che tornare in carcere in Libia. Ancora non riesco a credere di essere stato portato in salvo”.
F. ha 26 anni | soccorso ad agosto 2023
“L’unica possibilità”
“Alcune volte, mentre eravamo in Libia, ho pensato di tornare indietro. Vivevamo in condizioni igieniche pessime, soprattutto per un bambino così piccolo, che ha bisogno di attenzioni continue. Ma l’unica possibilità che avevamo per dargli una vita migliore era dall’altra parte del mare”.
Mentre ci racconta la sua storia sul ponte della Life Support, N. abbraccia il figlio. Ha solo 7 mesi.
“Per partire”, dice “abbiamo dovuto vendere la casa di famiglia. Solo mio marito è rimasto in Siria, a prendersi cura dei suoi genitori. Sono anziani e non possono muoversi”.
Ora, raggiunta la terraferma, spera di riuscire ad arrivare in Germania, “ho un fratello che vive lì da diversi anni”.
Per dare a suo figlio un futuro migliore, lontano dalla guerra.
N. ha 24 anni | soccorsa ad agosto 2023 insieme al figlio di 7 mesi
“Ho ancora tante cicatrici sul corpo”
“In Libia non ci sono diritti per i migranti, possono ucciderti per strada e a nessuno importa. Ma anche in Tunisia c’è molto razzismo contro i neri. A Sfax attaccano spesso noi africani subsahariani. Vengono nelle case in cui viviamo, ci rubano i soldi, i telefoni, ci picchiano anche per ore se non abbiamo soldi. Ho ancora tante cicatrici sul corpo”.
C. è fuggito dalla Sierra Leone, “dove molti membri della mia famiglia sono stati uccisi perché considerati oppositori politici” ci ha raccontato.
“Sono dovuto scappare in Marocco, ho passato mesi nel deserto, quando sono arrivato in Libia ho visto uccidere diversi miei compagni di viaggio”.
C. ha 24 anni | soccorso a luglio 2023
“Che modo di vivere è questo?”
“Ho lasciato la Sierra Leone perché sono omosessuale.
La mia famiglia mi ha ripudiato, non ero accettato, dovevo vivere nella segretezza, non sapevo cosa fare della mia vita.
Non potevo vivere con la mia identità in Sierra Leone: dovevo far finta di essere qualcun altro.
Che modo di vivere è questo?
Tanto valeva partire per provare a raggiungere l’Europa. Anche a costo di rischiare la morte”.
M., 25 anni, dalla Sierra Leone | soccorso a luglio 2023
“Succede a moltissime donne”
“Sono fuggita da sola dal mio Paese, il Camerun. Sono fuggita da violenze e abusi, lasciando famiglia e amici”. L. ha 28 anni ed è una delle persone che abbiamo soccorso nell’ultima missione della Life Support.
“Sono arrivata in Tunisia passando per il deserto dell’Algeria. Durante il viaggio sono stata violentata dagli uomini che avevo pagato per portarmi in Tunisia. Succede a moltissime donne.
In Tunisia ho raccolto i soldi per il viaggio in mare. In quei mesi non ho mai potuto andare da un dottore perché ero senza documenti”.
Solo una volta salita sulla Life Support, al sicuro, L. ha potuto fare un test di gravidanza. “In quel momento ho scoperto di essere incinta, di tre mesi”.
L.,28 anni, dal Camerun | soccorsa a luglio 2023
“Oggi sono felice per la mia vita, perché sono vivo, ma non è stato facile sai?”
“In Tunisia la situazione è drammatica. A Sfax i migranti subsahariani come me vengono trattati in modo ignobile, non ci vendono cibo o acqua, non ci affittano case, ci rubano i soldi e gli oggetti, ci picchiano”.
“11 miei amici sono stati uccisi, prima che io partissi, perché accusati senza fondamento di aver rubato. Per questo me ne sono andato: non c’era possibilità di vivere lì per me”.
Dopo aver passato un anno e mezzo in Libia, dove – racconta – “mangiavo e bevevo poco, ero tenuto prigioniero e non potevo uscire di casa”, Y. è fuggito in Tunisia. Lì ha trovato di nuovo discriminazioni, violenze, mancanza di rispetto dei più basilari diritti.
“Oggi sono felice per la mia vita, perché sono vivo, ma non è stato facile sai?”.
Y., 27 anni, dal Camerun | soccorso a luglio 2023
“In Libia non c’è pace”
“In Libia non c’è pace. Ci entravano in casa con le pistole, cercando soldi e oggetti di valore da rubare.
Volevamo mettere in salvo nostro figlio da quell’inferno, ma non avevamo abbastanza soldi per partire tutti e tre. Così, il mio compagno si è sacrificato.
Nostro figlio deve poter studiare, non vivere in un Paese dove la gente viene uccisa per strada.
Ora ho paura che non riesca più a rivedere suo padre”.
G., 22 anni, dall’Eritrea | soccorsa con suo figlio di 2 anni a giugno 2023
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