Risposta al
Covid-19 in Africa
e il meccanismo COVAX
Il report di EMERGENCY con le voci di
esperti da Sierra Leone, Sudan e Uganda
A maggio 2023, l’emergenza sanitaria Covid-19 è stata dichiarata conclusa dall’OMS. Cosa ci ha insegnato il Covid-19 nella gestione di una pandemia? Qual è stato l’impatto su sistemi sanitari dei Paesi a basso e medio reddito, come quelli africani? L’iniziativa multilaterale COVAX ha raggiunto il suo obiettivo – garantire a tutti i Paesi del mondo un accesso rapido, sicuro ed equo ai vaccini anti Covid-19?
Saremmo in grado di rispondere adeguatamente a una nuova emergenza pandemica, grazie alla collaborazione globale e a politiche che tengano conto delle peculiarità dei diversi contesti? Il ripresentarsi di uno scenario assimilabile a quello del Covid-19 non è infatti un’ipotesi remota: secondo Airfinity, una società di indagini predittive in campo sanitario, la probabilità di una nuova emergenza pandemica nei prossimi anni è del 27,5%, più di una su quattro, come sottolineato anche dalla People’s Vaccine Alliance.
Per prepararci al meglio e non ripetere gli errori passati, non possiamo ignorare le voci di chi è stato direttamente coinvolto nella risposta al Covid-19 nei Paesi a basso e medio reddito. Da questa consapevolezza nasce “Risposta al Covid-19 in Africa e il meccanismo COVAX”, il rapporto di EMERGENCY in collaborazione con CERGAS e DONDENA, due centri di ricerca che hanno sede all’Università Bocconi.
Il documento si concentra sulla risposta al Covid-19 e sulle campagne di vaccinazione in Sierra Leone, Sudan e Uganda, Paesi in cui EMERGENCY lavora da anni. Grazie alla nostra presenza di lunga data in questi Paesi e ai rapporti costruiti con le istituzioni locali, abbiamo potuto raccogliere le opinioni dirette di decision-maker e policy-maker locali.
Come mostra il report, ciascuno degli Stati considerati ha risposto alla pandemia in modo diverso, anche in virtù dei diversi contesti di partenza. I diversi governi del continente Africano infatti hanno avuto risposte differenti dettate da situazioni pregresse molto variegate sia in termini di esperienze sia di risorse disponibili.
Tra gli obiettivi di questo studio troviamo:
- l’identificazione di buone prassi e punti deboli che possano aiutare a imparare dal vissuto degli ultimi tre anni per essere globalmente meglio preparati nelle future pandemie;
- l’analisi degli ostacoli che i Paesi oggetto dello studio hanno riscontrato nell’accesso ai vaccini;
- l’apertura di un dibattito politico con la speranza di influenzare positivamente il processo decisionale e l’approccio alle soluzioni a breve termine sia in Italia sia sul piano internazionale;
- lo stimolo di una discussione riguardante la costruzione di approcci sostenibili a medio e lungo termine, per aiutare a prevenire e gestire future pandemie;
- il contributo al lavoro di advocacy riguardante la parità di accesso ai vaccini in Africa, rendendolo un argomento rilevante nell’agenda politica italiana e internazionale.
Avere avuto accesso ai vaccini solo dopo il picco della pandemia ha creato grandi sofferenze. Abbiamo incontrato difficoltà nel vaccinare le persone. Ci siamo lasciati sfuggire il momento critico. Se avessimo avuto i vaccini disponibili già nel 2021 nel momento in cui il governo aveva preso misure restrittive e c’era un reale panico sulla pandemia, le persone sarebbero state più propense a riceverli. Quando vedevano le persone morire, la domanda era alta. Ma il vaccino è arrivato tardi e questo ha creato una sfida importante per le nazioni: convincere le persone a vaccinarsi.
Dott. Hanan Mukhtar, Responsabile immunizzazione e Covid, OMS, Sudan
Come garantire in modo globale il diritto alla salute?
Tra gli esperti intervistati ci sono membri di tre diversi ministeri della Salute, operatori sanitari locali, personale e tecnici di organizzazioni internazionali.
Per poter garantire il diritto alla salute anche nei loro Paesi non si può prescindere da un equo accesso ai vaccini. Per ottenere questo risultato, suggeriscono, sarà necessario che i Paesi a medio e basso reddito – e in particolare il continente africano – riescano a sviluppare una propria capacità di produzione di vaccini, test e trattamenti.
Nei Paesi in via di sviluppo, la dipendenza dagli aiuti esterni in molti settori, incluso quello sanitario, assume a volte dimensioni drammatiche: un problema evidenziato dalla maggior parte degli intervistati. Non potendo contare su soluzioni interne è stato necessario affidarsi quasi completamente al meccanismo COVAX, che però — come spesso accade in situazioni di questo genere — non ha tenuto conto delle specificità dei diversi Paesi coinvolti.
Tutte queste considerazioni elaborate dagli intervistati dovranno essere incluse nelle riflessioni che verranno fatte riguardo l’architettura delle future politiche sanitarie globali. Non solo per equità, ma anche per garantire la sicurezza di tutti: con il Covid-19 abbiamo visto come in un mondo globalizzato le malattie non conoscano confini. In vista delle future minacce alla salute è fondamentale costruire una risposta globale.
Le raccomandazioni di EMERGENCY ai decisori
Il report “Covid-19 response in africa and the COVAX mechanism” si chiude con un set di 11 raccomandazioni dirette ai decisori italiani ed internazionali. Tra queste vi è l’invito ad ascoltare le voci anche dei Paesi a medio e basso reddito per costruire politiche sanitarie globali davvero inclusive. Sarà importante orientare il supporto economico alle emergenze, non solo verso le risposte immediate ma anche verso interventi strutturali che rafforzino i sistemi sanitari da diversi punti di vista, incluso quello legato alla carenza cronica di personale sanitario. Infine le raccomandazioni vertono anche sul tema della libera circolazione della conoscenza e della sospensione di alcune norme a protezione della proprietà intellettuale al verificarsi di nuove emergenze sanitarie globali.
Tutto questo porterebbe infatti ad aumentare la capacità produttiva di vaccini, test e trattamenti anche nel continente africano, garantendo il diritto alla salute per tutti, in tutto il mondo.
A quel tempo COVAX applicava una politica di risposta standard per tutte le nazioni: era questo il problema principale. La pianificazione non seguiva i bisogni dei diversi Paesi e in più c'era una scarsa flessibilità nel determinare i gruppi di interesse.
Dott. Babiker Magbouc, Direttore Generale, Unità di Controllo delle malattie e delle epidemie, Sudan
Cos’è il programma COVAX per le donazioni di vaccini anti Covid-19
Durante la pandemia di Covid-19, i governi africani hanno potuto ottenere i vaccini per prevenire il virus in diversi modi, i principali dei quali erano: con acquisti diretti, grazie a donazioni bilaterali e tramite l’iniziativa multilaterale COVAX. Il COVAX, Acronimo di Covid-19 Vaccines Global Access, è un programma internazionale lanciato da OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), CEPI (Coalizione per le innovazioni nella preparazione alle epidemie) e GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization) per garantire a tutti i Paesi un accesso rapido, sicuro ed equo ai vaccini anti Covid-19 consentendo a ciascun Paese – indipendentemente dalla sua capacità economica – di accedere a un numero sufficiente di dosi per permettere di proteggere almeno la popolazione vulnerabile.
A oggi, COVAX è la principale fonte di vaccini consegnati in Africa: il 62,3% delle dosi ricevute nel continente arrivano da questo programma.
A marzo 2023 erano circa 2 miliardi le dosi di vaccino Covid-19 spedite a 146 Paesi destinatari nell’ambito di COVAX.
Tuttavia, l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro la metà del 2022 non è stato raggiunto e in Africa solo il 36% delle persone ha ricevuto almeno una dose.
Nonostante i risultati conseguiti, il meccanismo di risposta ha deluso le aspettative e in alcuni casi non è stato in grado di rispettare gli impegni presi nei confronti dei Paesi a basso e medio reddito.
Persino COVAX a volte non aveva dosi disponibili da distribuire. Era un meccanismo che dipendeva dai suoi donatori. La calendarizzazione delle consegne cambiava continuamente.
Jimmy Ameny, Manager della catena di fornitura logistica del Ministero della Salute dell’Uganda
La risposta al Covid-19 in Africa
Il Covid-19 ha inasprito i problemi già esistenti per i sistemi sanitari di molti Paesi africani, interrompendo le vaccinazioni di routine, la diagnosi e il trattamento di altre malattie, l’assistenza sanitaria materna e infantile e altri servizi sanitari. La pandemia ha intensificato l’insicurezza alimentare e provocato lunghe chiusure scolastiche. L’impatto economico in Africa è stato grave e ha spinto decine di milioni di persone nella povertà estrema, secondo la Banca mondiale.
I Paesi africani, in media tra i più poveri del mondo, mancano di capacità di produzione di vaccini e non sono stati in grado di competere con i Paesi più ricchi per procurarsi le dosi per gran parte del 2021. Inoltre, hanno dovuto affrontare ostacoli e barriere relativi alla distribuzione dei vaccini e alla loro somministrazione su larga scala a una popolazione adulta.
A causa del lockdown […] c’è stata un’interruzione di servizi [in campo sanitario]. Di conseguenza in quel periodo abbiamo avuto morti che non erano causate direttamente dal Covid-19 ma dalle conseguenze del lockdown.
Albert Besigye, Specialista Salute di UNEPI (programma nazionale sull’immunizzazione), Uganda
Il contesto sanitario africano: gli ostacoli alla risposta alle emergenze
I sistemi sanitari in Africa sono spesso sottofinanziati e, di conseguenza, a corto di personale e con attrezzature insufficienti. Ciò ostacola la loro capacità di rispondere alle emergenze, soprattutto quando le crisi sono di portata nazionale o sovranazionale. Le crisi su larga scala spesso causano l’interruzione degli altri servizi sanitari. La mancanza di un numero adeguato di operatori sanitari, fondi e risorse impedisce infatti di fornire una risposta adeguata alle emergenze sanitarie garantendo al tempo stesso alla popolazione il normale accesso ai servizi per la salute.
La portata senza precedenti della pandemia da Covid-19 ha ingigantito questi problemi. Sebbene ingenti fondi fossero stati destinati al sostegno dei sistemi sanitari dei Paesi a medio e basso reddito, gli intervistati hanno ribadito che questi fondi sono stati assorbiti quasi completamente dagli interventi di emergenza. Questa politica di gestione dei fondi così volta alla risposta emergenziale impedisce però ai sistemi sanitari di questi Paesi di costruire una risposta che vada oltre l’emergenza. Per questo si rende indispensabile supportare il comparto sanitario anche nel medio e lungo termine, migliorando la loro resilienza e preparazione a future necessità.
Durante la prima ondata, la risposta del ministero federale della Salute è stata molto veloce. All'inizio è stato dichiarato uno stato di emergenza e sono state adottate misure come coprifuoco e lockdown in tutto il Paese. Le direttive sono state emesse rapidamente, ma ci mancavano i DPI e le infrastrutture adeguate. La capacità degli ospedali in settori come la terapia intensiva e la produzione di ossigeno erano assenti.
Dott. Mousab Elhag, Specialista in progetti sanitari, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, Sudan
Le sfide del primo evento sanitario mondiale
La pandemia da Covid-19 è stata la prima crisi sanitaria nell’era della comunicazione globale: sottovalutare la portata della condivisione di informazioni in un mondo quasi totalmente digitalizzato ha generato ulteriori sfide per chi si è dovuto occupare di approntare contromisure e organizzare campagne di vaccinazione.
In tutto il mondo, e anche in Africa, è stato difficile far prevalere l’informazione istituzionale su quella informale: si è creato quindi un enorme divario nell’accuratezza della comunicazione tra il livello centrale e quello periferico.
Allo stesso modo, le differenze centro-periferia hanno impattato sul coordinamento della risposta e sulla portata delle vaccinazioni: le aree più difficili da raggiungere, infatti, erano spesso tagliate fuori o poco servite a causa di difficoltà logistiche e per l’assenza di operatori sanitari.
Ci siamo concentrati solo sul “centro”, dove venivano segnalati la maggior parte dei casi, nelle aree urbane come Khartoum. La maggior parte delle periferie delle grandi città sono state totalmente trascurate perché, secondo me, era più semplice per noi funzionari anche se non era la cosa più giusta da fare per la popolazione. […] Le persone nelle campagne sono state dimenticate e hanno avuto grandi difficoltà ad accedere alle strutture.
Dott. Nader Makki, Team Leader delle operazioni d’emergenza nel Paese, OMS, Sudan
La situazione vaccinale in Sierra Leone, Sudan e Uganda
Sierra Leone, Sudan e Uganda sono riusciti a raggiungere un numero soddisfacente di persone vaccinate con almeno una dose, un risultato dovuto anche al significativo sostegno internazionale, in particolare al meccanismo COVAX.
In questi Paesi la dipendenza dagli aiuti esterni, già rilevante, è aumentata durante la pandemia. Quasi tutti gli intervistati hanno sottolineato come l’ostacolo maggiore a un accesso equo a vaccini, test e trattamenti siano state le logiche di mercato, che hanno influenzato il sistema di risposta e intaccato la meccanica di strumenti come il COVAX che avrebbero dovuto basarsi sul principio di solidarietà.
Guardando agli aspetti positivi del supporto internazionale, gli intervistati si sono detti soddisfatti di come nel tempo, nonostante una partenza lenta, abbiano ricevuto una buona quantità di vaccini. Allo stesso modo sono state percepite positivamente le modalità di ingaggio con COVAX e la somma dei fondi mobilizzati per la formazione degli operatori sanitari.
Per quello che riguarda invece le criticità riscontrate, vengono citate la carenza di tempestività, la mancanza di una calendarizzazione appropriata per la consegna dei vaccini (spesso inficiata da consegne improvvise), la presenza di numerosi lotti con data di scadenza ravvicinata. In aggiunta è stata spesso riscontrata anche la mancanza di un adeguato supporto logistico e di adeguamento ai diversi contesti, spesso causati da scarse capacità di raccolta dati.
In conclusione, la comunità internazionale e il COVAX hanno reso disponibili i vaccini a diversi Paesi, ma non ne hanno garantito l’accesso adeguato alle popolazioni, specialmente in Africa. Per poter realmente raggiungere questo obiettivo in futuro sarà necessaria una maggiore attenzione globale ai bisogni dell’Africa, supportando il continente in un processo di empowerment.
Dobbiamo sviluppare una resilienza alle pandemie, specialmente in Africa. Dobbiamo promuovere la creazione di laboratori e l’aumento di capacità manifatturiere [nel campo della produzione dei vaccini]. Dobbiamo far pressione per ottenere un accesso rapido ed equo.
Dott. Isaac Ssewanyana, Direttore del Laboratorio Centrale per la Salute Pubblica, Uganda
EMERGENCY in Sierra Leone, Sudan e Uganda: oltre l’emergenza Covid-19, le nostre attività
Durante l’emergenza Covid-19 abbiamo messo immediatamente in pratica le nostre competenze di gestione dei malati in caso di epidemie maturate in Sierra Leone nel 2014 e 2015 durante l’epidemia di Ebola.
Abbiamo subito pianificato una compartimentalizzazione dell’ospedale, prima ancora del primo caso registrato nel Paese, basandoci anche sulla nostra esperienza con Ebola. Volevamo evitare che l’infezione si diffondesse nella nostra struttura costringendoci a fermare le attività.
Samuele Greco, Medical Coordinator, Centro chirurgico di EMERGENCY a Goderich, Sierra Leone
EMERGENCY è attiva in Sierra Leone dal 2001, in Sudan dal 2004 e in Uganda dal 2021, scopri i nostri progetti in questi Paesi.