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EMERGENCY sull’omicidio di Sacko Soumayla a San Calogero

4 Giugno 2018

Sacko Soumayla, un ragazzo di 29 anni proveniente dal Mali e residente in Italia, è stato ucciso ieri nel vibonese da un colpo di fucile. Dopo aver lavorato tutto il giorno come bracciante agricolo per pochi euro, Sacko è stato ucciso mentre, insieme ad altri due ragazzi, era all’ex Fornace, una vecchia fabbrica abbandonata nella zona di San Calogero, a circa 15 km da Rosarno, alla ricerca di vecchie lamiere per costruire un riparo per altri braccianti.

EMERGENCY condanna questo omicidio, auspicando che i responsabili vengano identificati e condannati.

La situazione della Piana di Gioia Tauro, come di molte altre zone agricole italiane, non è un’emergenza temporanea, ma il risultato di una mancata volontà politica di gestire un fenomeno noto da anni. Centinaia di braccianti vivono in baracche costruite con pezzi di legno, lamiere e teloni di plastica in tendopoli e strutture fatiscenti in quella che avrebbe dovuto essere una ‘soluzione temporanea’. Non hanno acqua, corrente elettrica, servizi igienici.

Oltre la grave situazione abitativa, nelle campagne di Rosarno manca ogni forma di assistenza pubblica: trasporti, assistenza sanitaria, servizi. Questo nonostante la maggior parte di loro, proprio come Sacko e i due amici che erano con lui, risieda regolarmente in Italia.

I braccianti della Piana di Gioia Tauro devono anche fare i conti con lo sfruttamento: Sacko era attivo nelle lotte sindacali: per difendere i diritti di questi ‘nuovi schiavi’ e chiedere migliori condizioni di vita e di lavoro.

Per questo è urgente un intervento strutturale che garantisca condizioni di vita dignitose alla popolazione bracciante della Piana di Gioia Tauro. EMERGENCY lavora nella zona dal 2011 ed è oggi presente a Polistena, con un Poliambulatorio che offre servizi di medicina di base e specialistica e orientamento socio-sanitario.  La maggior parte dei pazienti del Poliambulatorio sono braccianti agricoli: da gennaio 2018 a oggi abbiamo curato oltre 850 persone effettuando oltre 3.000 prestazioni. La maggior parte dei nostri pazienti proviene da Senegal, Mali e Gambia.

“Non tutti vengono in ambulatorio perché sono malati. Molte di queste persone hanno bisogno di parlare, di condividere” racconta Ousmane, mediatore culturale “Hanno storie difficili, quelle che hanno vissuto prima del loro arrivo in Italia, e una volta arrivati qui per molti di loro non è andata molto meglio, pur di lavorare vivono in condizioni che non avrebbero mai immaginato. Vivere qui, nella baraccopoli, ti fa sentire un essere umano di ‘serie b’, è quello il problema più grande da affrontare per queste persone”.