EMERGENCY | NUOVO REPORT COVID-19 IN AFRICA: VOCI DA SUDAN, UGANDA E SIERRA LEONE
REPORT, VACCINAZIONI COVID-19 IN AFRICA:
DA SUDAN, UGANDA E SIERRA LEONE LA VOCE DI CHI HA GESTITO
LA PANDEMIA NEL CONTINENTE ‘MENO VACCINATO’
E LE SFIDE FUTURE DEI SISTEMI SANITARI
AIUTI ARRIVATI IN RITARDO, SENZA SUPPORTO TECNICO-LOGISTICO E GUIDATI DA LOGICHE DI MERCATO E PROFITTO:
DURANTE L’EMERGENZA PAESI GIÀ IN DIFFICOLTÀ
HANNO AFFRONTATO LE BARRIERE PIÙ GRANDI
EMERGENCY: “CONDIVIDERE TECNOLOGIE E KNOW HOW CON I PAESI A BASSO E MEDIO REDDITO, FORMARE LA CLASSE MEDICA, INVESTIRE DI PIÙ IN SALUTE, AGIRE INSIEME: COME AFFRONTARE NUOVE SFIDE”
Il 5 maggio l’emergenza sanitaria da Covid-19 è stata dichiarata conclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità ma, al termine di questa pandemia, ci sono ancora Paesi che sono comunque “rimasti indietro”. A fronte del 70% di popolazione nel mondo vaccinata con almeno una dose contro il Covid-19, in Africa la percentuale scende al 36%. In paesi già afflitti da multi-fragilità e problemi strutturali, il ritardo nella consegna delle dosi, in quantità insufficienti, con scadenze ravvicinate, senza una contestualizzazione degli aiuti guidati da logiche di mercato e profitto anziché dalla solidarietà, e da una visione improntata all’emergenza anziché alla sostenibilità a lungo termine, hanno causato ulteriori difficoltà.
Questa analisi è il bilancio del report di EMERGENCY “Risposta al Covid-19 in Africa e meccanismo Covax. Voci dal campo: Sierra Leone, Sudan, Uganda” che ha raccolto la voce di chi ha lavorato durante la pandemia nei tre paesi analizzati, dove la ong opera con i suoi ospedali, per provare ad analizzare cosa il Covid-19 ha insegnato nella gestione di una pandemia, qual è stato l’impatto sui sistemi sanitari dei Paesi a basso e medio reddito come quelli africani, se e in quale misura il meccanismo COVAX abbia raggiunto il suo obiettivo, e stabilire se saremmo in grado di rispondere, tutti, adeguatamente a una nuova emergenza pandemica.
In una recente lettera inviata ai leader mondiali partecipanti al G7 di Hiroshima la People’s Vaccine Alliance , coalizione di varie realtà della società civile tra le quali EMERGENCY, ha denunciato che nei prossimi dieci anni sarà quasi del 30% la possibilità che si sviluppi una nuova pandemia. Nel suo report EMERGENCY sottolinea l’importanza che tutti i paesi, anche quelli a basso e medio reddito, arrivino preparati e con pari livello di capacità di risposta. Lo scopo del rapporto appena pubblicato è infatti quello di stimolare una discussione sulla costruzione di approcci sostenibili a medio e lungo termine, per aiutare a prevenire e gestire future pandemie, e contribuire a mantenere la parità di accesso ai vaccini in Africa tra gli argomenti rilevanti dell’agenda mondiale.
EMERGENCY è attiva in Sierra Leone dal 2001 con un Centro chirurgico a Goderich (Freetown); in Sudan dal 2005 con i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur), Port Sudan (Stato del Mar Rosso) e con il Centro Salam di cardiochirurgia di Soba (Khartoum); in Uganda dal 2021 con il suo Centro di chirurgia pediatrica. Sono state così raccolte nei tre paesi le voci di staff dell’associazione, ma soprattutto di decision e policy makers che fanno parte di organizzazioni e istituzioni che hanno contribuito attivamente durante la pandemia all’implementazione delle procedure e dei protocolli per il Covid-19 e per la campagna vaccinale.
Attraverso la voce degli intervistati, il report vuole anche ricostruire e analizzare l’attività del meccanismo COVAX (COVID-19 Vaccines Global Access). Il programma internazionale lanciato da OMS, CEPI (Coalizione per le innovazioni nella preparazione alle epidemie) e Gavi durante le prime fasi della campagna vaccinale aveva come scopo quello di riequilibrare le disuguaglianze vaccinali attraverso la cooperazione con governi e produttori per rendere i sieri anti-Covid disponibili in tutto il mondo, anche nei Paesi a basso reddito. Infatti, se nel mondo arriva al 70% la popolazione che ha ricevuto la prima dose di vaccino anti Covid-19, in Africa la percentuale scende al 36% della popolazione totale.
Nonostante COVAX abbia contribuito alla fornitura del 62,3% delle dosi di vaccino nel continente, infatti, numerose sono le criticità riscontrate nella sua applicazione. Tra queste: carenza di tempestività, mancanza di una calendarizzazione appropriata per la consegna dei vaccini, presenza di numerosi lotti con data di scadenza ravvicinata, mancanza di supporto logistico e di adeguamento ai diversi contesti, spesso per scarse capacità di raccolta dati. Gli aiuti, insomma, sono stati inviati, ma senza una valutazione in termini di sostenibilità a lungo termine, conformità al contesto ed efficacia.
Nella sezione dedicata all’analisi di contesto il report ricorda che i sistemi sanitari in Africa sono spesso sotto finanziati e, di conseguenza, con personale e con attrezzature insufficienti (si calcola ad esempio che in Sierra Leone ci siano 0.07 medici ogni 1.000 abitanti, in Uganda 0.15, in Sudan 0.26).
La Sierra Leone con il 52% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà e uno dei tassi di mortalità materna e infantile più alti del mondo, soffre di una mancanza cronica di lavoratori nel settore della salute e una difficoltà da parte della popolazione impoverita dalla crisi economica a pagare le cure.
In Sudan l’instabilità politica, sfociata ad aprile 2023 in una guerra, e la crisi economica e sociale spostano la sanità in un posto inferiore tra le priorità del paese con tagli continui nelle spese. Lo staff sanitario è poco e mal distribuito concentrato per la maggior parte nella capitale (per il 70%, dove però vive solo il 20% della popolazione).
In Uganda è presente un grande numero di rifugiati provenienti da paesi vicini in guerra, e vede un problema di ricorrenti crisi sanitarie locali, con focolai di epidemie endemiche, come l’ebola. Questi fattori spesso contribuiscono allo sviluppo di impatti negativi sulla salute pubblica, sull’economia (commercio e turismo), sulla sicurezza alimentare e su alcuni gruppi sociali.
Tuttavia, la ricerca ribadisce che appurate le fragilità dei sistemi analizzati, la logica di mercato e profitto che durante l’emergenza ha guidato governi dei paesi e case farmaceutiche, ha fatto sì che “gli ultimi rimanessero ultimi”. La comunità internazionale e il COVAX hanno reso disponibili i vaccini a diversi Paesi, ma non ne hanno garantito l’accesso adeguato alle popolazioni, specialmente in Africa. Per poter realmente raggiungere questo obiettivo in futuro sarà necessaria una maggiore attenzione globale ai bisogni del continente africano, supportandolo e non solamente in fasi emergenziali.
Come ha commentato il dottor Isaac Ssewanyana, Direttore del Laboratorio Centrale per la Salute Pubblica in Uganda: “Dobbiamo sviluppare una resilienza alle pandemie, specialmente in Africa. Dobbiamo promuovere la creazione di laboratori e l’aumento di capacità manifatturiere [nel campo della produzione dei vaccini]. Dobbiamo far pressione per ottenere un accesso rapido ed equo”.
Ciò che il report “Risposta al Covid-19 in Africa e meccanismo Covax. Voci dal campo: Sierra Leone, Sudan, Uganda” vuole suggerire, infatti, è la necessità di rivedere le politiche sanitarie globali non solo per equità, ma anche per garantire la sicurezza di ogni persona. Questo obbiettivo può essere raggiunto aumentando gli investimenti nel settore sanitario; aumentando le capacità produttive dei paesi a basso e medio reddito; incentivando il trasferimento di tecnologia e know-how; agendo guidati dalla tutela dei diritti umani al di là dei guadagni e delle logiche di mercato; garantendo che gli investimenti esterni siano sostenibili e abbiano un impatto duraturo.
In vista delle future minacce alla salute globale è perciò fondamentale che i Paesi lavorino insieme e coordinino le loro risposte, costruendo così una resilienza comune alle prossime sfide globali.
Per approfondire: https://www.emergency.it/cosa-facciamo/medicina-e-diritti-umani/risposta-al-covid-19-in-africa-e-il-meccanismo-covax/