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15 anni di guerra in Afghanistan? Ecco il risultato.

7 ottobre 2001, inizia l’intervento militare occidentale in Afghanistan, con l’obiettivo di “sconfiggere il terrorismo, portare pace e democrazia”. Come va la guerra, quindici anni dopo? Qualche numero può servire a tirare un bilancio.

Secondo le Nazioni Unite, i primi sei mesi del 2016 hanno segnato il record di vittime civili, mai così tante da quando hanno cominciato a contarle in maniera sistematica, nel 2009. Da gennaio a giugno 2016 sono stati documentati 1.601 morti civili e 3.565 feriti (un aumento del 4 per cento rispetto all’anno precedente). Il 2016 segna anche il triste record di vittime tra i bambini: 388 morti e 1.121 feriti da gennaio a giugno.

Nei primi sei mesi dell’anno, 157.987 afghani hanno dovuto lasciare le loro case a causa della guerra. Ci sono 1,2 milioni di sfollati interni nel Paese.

La produzione di oppio in Afghanistan, sempre le Nazioni Unite a dirlo, è andata crescendo anno dopo anno, dai 7mila ettari del 2001 agli oltre 180mila del 2015.

La corruzione continua a distruggere il Paese e le fragili istituzioni, drenare risorse, impoverire la popolazione e nutrire criminalità e violenza. Nell’Indice di percezione della corruzione, l’Afghanistan è al 166° posto su 168 Paesi.

Nel 2015, in Afghanistan, 101 operatori umanitari sono stati bersaglio di aggressioni violente, rapimenti, omicidi. Per l’intervento militare in Afghanistan, in questi 15 anni, l’Italia ha speso 6 miliardi di euro. Gli Usa da soli hanno speso 700 miliardi di euro. Possiamo anche dirlo in un altro modo: i contribuenti in Italia e negli Stati Uniti, volenti o nolenti, hanno speso queste cifre.

Quel 7 ottobre EMERGENCY era già in Afghanistan, con 2 centri chirurgici e posti di primo soccorso, e ci siamo ancora. Negli anni gli ospedali sono diventati tre, più un Centro di maternità dove sono nati 35mila bambini, e 44 cliniche per la sanità di base e il primo soccorso. Nelle strutture di EMERGENCY, in questi anni, oltre 5 milioni di pazienti hanno ricevuto l’assistenza sanitaria di cui avevano bisogno in modo completamente gratuito – più tre pasti al giorno, il pigiama per la degenza, un trattamento umano e rispettoso. Garantire la cura vuol dire anche investire nel lavoro e nella formazione del personale nazionale: salari ed educazione che naturalmente fanno bene alla società ben al di fuori dei cancelli dell’ospedale. EMERGENCY in Afghanistan oggi impiega 1.264 persone, con particolare attenzione al lavoro delle donne e delle persone diversamente abili.

Oggi siamo un Centro di Specializzazione universitario e abbiamo organizzato corsi di formazione per centinaia di professionisti di altri ospedali pubblici.

E, naturalmente, anno dopo anno aumenta il numero di vittime di guerra che curiamo negli ospedali di EMERGENCY. Un letto su tre è occupato da un bambino.

Il lavoro di EMERGENCY in Afghanistan, dal 1999 a oggi, è costato poco più di 84 milioni di euro. Possiamo anche dirlo in un altro modo: abbiamo investito 84 milioni di euro in cura, lavoro, educazione e dignità sociale, grazie chi ha scelto di usarli così.

Oggi ognuno tira il proprio bilancio sugli ultimi 15 anni di guerra al terrorismo in Afghanistan. Le conclusioni dovrebbero servire a orientare le azioni future. È questo il modo in cui si sconfigge il terrorismo, in cui si costruiscono pace e diritti? Siamo soddisfatti, possiamo far meglio? Che cosa faremo domani?

Per quanto riguarda EMERGENCY, sappiamo che cosa faremo domani: continueremo, fino a che ci sarà possibile, a curare le vittime di guerra in Afghanistan, continueremo ad ampliare le nostre attività per rispondere ai bisogni crescenti. Continueremo a pensare – ce lo dicono i registri degli ospedali, ce lo dicono i nostri pazienti e quello che vediamo fuori dalla finestra – che la guerra non costruisce la pace, al contrario. Continueremo a praticare diritti, perché quelli sì costruiscono la pace. Continueremo a credere che “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.

– Cecilia Strada