“Vi presento Sarbast, il suo nome significa ‘Freedom’. Libertà.”
“Mine injury”. È questa la causa principale per cui la maggior parte delle persone diventano pazienti del Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale di EMERGENCY a Sulaimaniya.
Sono vittime di guerra, amputati a causa del ferimento provocato dalle mine presenti nel terreno: ordigni esplosivi che la guerra ha lasciato come sua eredità e nascoste per ferire, e fare male. Trappole quotidiane difficili da individuare, ma progettate per essere, a volte, letali. Chiunque può calpestarle e vedere la propria vita cambiare per sempre.
Anche Serbast, 32 anni, è caduto vittima di questa trappola, un anno e mezzo fa.
“Sono arrivato in questo Centro all’inizio di gennaio dello scorso anno, ma il mio incidente risale al 27 agosto del 2017. Quella mattina mi trovano in un fossato a sud di Kirkuk…”
Da quel fossato che insieme ad altri combattenti curdi aveva scavato, Serbast si nascondeva per controllare e contrastare l’avanzata dell’ISIS nella sua città. Prima di perdere parte della gamba sinistra, viveva in prima linea, come peshmerga. Un termine, che in lingua curda può essere tradotto come “colui che sta di fronte alla morte” e che identifica i combattenti impegnati sulle linee del fronte del confine del Kurdistan contro l’estremismo islamico.
“La notte precedente l’ISIS aveva piazzato una bomba vicino al nostro fossato, e alcuni di noi erano lì quando è esplosa. Quell’attacco ha ferito me e altre due persone, e ne ha uccisa una. La mia gamba era completamente danneggiata, perdevo molto sangue: mi hanno trasportato all’ospedale chirurgico di Kirkuk, dove mi hanno stabilizzato. Poi sono stato trasferito al Centro chirurgico di Sulaimaniya. I dottori hanno cercato di salvare la ma gamba operandola cinque volte, ma non c’è stato niente da fare e hanno amputato. Ecco perché ora mi trovo qui.”
Burhan, fisioterapista del Centro di riabilitazione di EMERGENCY che lavora qui da 22 anni, prova a spiegarci il processo di guarigione di un paziente come Serbast.
E per farlo comincia così: “Costruire una protesi e riabilitare un paziente non è solo una questione tecnica. Il rispetto è la prima cosa nel nostro rapporto, perché i pazienti sono prima di tutto esseri umani. Di fronte a noi abbiamo avuto anche medici amputati, non ci sono differenze nelle cure che offriamo. Molte volte ci troviamo davanti persone che piangono, si sentono isolate dal resto del mondo. Sta a noi far capire loro che non sono soli, che possono farcela. Anche la fase di riabilitazione è personale: dipende dal sesso, dal peso, dall’età del paziente. Ma anche da dinamiche che subentrano in corso e che rallentano tutto il processo, come contratture, problemi di vascolarizzazione e diabete.”
Camminata, esercizi di equilibrio, massaggi, esercizi da fare a casa. Dalla perdita di una gamba al tornare di nuovo a camminare con una nuova protesi è come se si reimparasse a “rinascere”. Al momento non può lavorare, ma al termine della fase riabilitativa, potrà chiedere di frequentare uno dei corsi di formazione che EMERGENCY prepara ogni anno per i pazienti mutilati: potrà diventare un falegname, un esperto di pelletteria, un sarto. E dalla trappola di una mina tornare a essere libero di ricominciare una vita non diversa che uno si è immaginato di vivere. Non a caso, forse, la prima cosa che Burhan ci ha detto appena lo abbiamo conosciuto è stata:
“Vi presento Sarbast, il suo nome significa “Freedom”. Libertà.”
Dal Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale di EMERGENCY a Sulaimaniya.
Il Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale di EMERGENCY a Sulaimaniya, in Iraq, è finanziato da “Aiuti umanitari e protezione civile dell’Unione europea”.