Succede qui, ad Ashti
Quando Eqbal ha portato suo figlio Aiham, di soli 4 mesi, nel Centro sanitario di EMERGENCY all’interno del campo per sfollati di Ashti, nel Kurdistan iracheno, il bambino aveva un forte raffreddore, la tosse, e i suoi occhi continuavano a lacrimare.
Ad Ashti, le temperature invernali di questi mesi, la pioggia, l’umidità e la mancanza di sistemi di riscaldamento adeguati nelle tende mettono a dura prova la salute dei più piccoli.
“Per fortuna Aiham non ha nessuna infezione alle vie respiratorie, solo un arrossamento e una dermatite cutanea che possono essere curati con le medicine che abbiamo fornito alla mamma dalla nostra farmacia – mi spiega Rajan, medico di base del Centro sanitario, che lo ha visitato.
“Quanti bambini vivono qui?” – chiedo.
“Nel campo vivono circa 11.500 persone e oltre la metà sono bambini.”
Eqbal e suo marito arrivano da Salah al-Din, il governatorato dell’Iraq a nord di Baghdad, da cui sono scappati a causa dei combattimenti 4 anni fa. Aiham nel campo invece non ci è arrivato, ci è proprio nato e non ha visto ancora niente se non questa distesa di tende.
“Tornare indietro ci fa paura, non ci sentiamo ancora al sicuro”, mi dice Eqbal sistemando la felpa del suo bambino e stringendolo a sé.
Succede qui, ad Ashti: una parola che in lingua curda vuol dire “pace”.
— Marta, staff di EMERGENCY, dall’Iraq