“Quante persone hanno abbandonato la casa con te? Quante di loro hai perso lungo il tragitto?”
È lungo il registro dei pazienti dell’Emergency Hospital di Erbil, in Iraq, dove curiamo le vittime di guerra. La provenienza è sempre la stessa: Mosul.
“Quante persone hanno abbandonato la casa con te? Quante di loro hai perso lungo il tragitto?”. Sono le domande più difficili alle quali rispondere per chi varca questa soglia.
Lo è stato anche per M., arrivato in ospedale più di un mese fa con in braccio due dei suoi cinque figli.
Gli altri tre, così come la moglie, pensava di averli persi durante i combattimenti, finché qualche settimana fa ha ricevuto una telefonata che lo avvisava che una delle figlie aveva perso una gamba, ma era sopravvissuta. Qualche giorno dopo era arrivata in ospedale: la famiglia di Mosul si ricomponeva.
Settimana scorsa erano tutti in attesa, nel giardino dell’Emergency Hospital, per l’arrivo del quarto fratellino. Anche lui è vivo, era rimasto boccato a Mosul con la nonna per settimane a causa dei ponti distrutti dai raid.
“Thank you! Thank you!” è tutto quello che riesce a dire il papà, commosso alla vista del figlio che pensava di aver perso.
Da febbraio, con l’intensificarsi del conflitto di Mosul, il nostro staff è attivo 24 ore su 24. A oggi abbiamo curato più di 570 vittime di guerra effettuando oltre 600 operazioni chirurgiche.
— Rossella, dall’Emergency Hospital di Erbil, Iraq