“Lo faccio per lui e per tutto il popolo afgano”
Loro sono Hekmat Wali e Fazel Wali. Lavorano tutti e due nel nostro ospedale a Kabul: uno è infermiere, l’altro supervisore dei guardiani. Hekmat Wali e Fazel Wali sono colleghi ma, prima ancora, sono padre e figlio.
“Ho deciso di dedicarmi alle vittime della guerra perché anche mio padre lo è. Ha perso una gamba durante il periodo della guerra civile, ma questo non lo ferma: ogni giorno ce la mette tutta per fare bene il suo lavoro. EMERGENCY ci ha dato un’opportunità: il nostro non è solo un lavoro, è un servizio per la comunità. Ho fatto questa scelta per lui e per tutto il popolo afgano.”
Per Hekmat Wali, Kabul è stato il banco di prova: “dopo la laurea, EMERGENCY mi ha chiesto se fossi disponibile: ho accettato immediatamente. Ogni giorno arrivano nuovi pazienti e so che devo dare il meglio per ciascuno di loro. Qualche giorno fa, per esempio, è arrivato un uomo ferito durante un bombardamento. Abbiamo dovuto amputargli entrambe le gambe, una storia simile a quella vissuta da mio padre. Lo abbiamo operato, ora sta bene e io non posso che essere orgoglioso di quello che siamo riusciti a fare per lui. Vedo tanti altri pazienti che tornano per le visite di controllo e che migliorano: questo mi fa stare bene, perché riesco a vederli felici, perché – come ci dicono – “siamo riusciti a salvargli la vita”.
Ma non c’è solo l’Afghanistan tra i racconti del giovane Hekmat: “Quando ho saputo della possibilità di andare in Sudan, nel Centro Salam di EMERGENCY, mi sono fatto avanti. Alcuni pazienti afgani in partenza per il Centro per un’operazione cardiochirurgica avrebbero avuto bisogno di un sostegno, così mi sono proposto. Non ero mai uscito dal mio Paese e volevo imparare di più sul mio lavoro. Sono partito insieme a loro e abbiamo trascorso due mesi in Sudan. Ancora oggi mi chiamano per sapere come sto e per raccontarmi la loro vita dopo l’intervento cardiochirurgico che hanno affrontato in Sudan. Il nostro rapporto, nel tempo, si è trasformato e oggi posso dire che non sono più solo ‘pazienti’, ma amici”.
“Ora sono di nuovo qui, seduto accanto a mio padre, voglio proseguire gli studi e diventare, un giorno, un bravo chirurgo di guerra. Ho solo 21 anni ma lui mi incoraggia e mi stimola e fare sempre meglio. Per lui cercherò di fare sempre di più. Per mio padre, e per il nostro Afghanistan.”