Le conseguenze psicologiche della guerra su bambini e ragazzi
Nelle ultime settimane qualcosa è cambiato nei pazienti che riceviamo sul Politruck: se all’inizio gli ucraini che arrivavano qui in Moldavia, in fuga dalla guerra in Ucraina, si rivolgevano a noi soprattutto per le prestazioni medico-infermieristiche, oggi sono più consapevoli della necessità di ricevere anche un supporto psicologico per gestire le loro reazioni al trauma e le relazioni con i bambini che li accompagnano.
Quando siamo arrivati a Balti, lo scorso aprile, spesso era la nostra psicologa a cogliere gli stati di disagio psicologico attraverso i sintomi fisici legati all’emotività, come ci raccontava Giovanna. Oggi sono sempre più spesso i pazienti stessi che vengono da noi per chiedere direttamente un sostegno psicologico.
“La guerra ha portato conseguenze sulla salute mentale di coloro che stiamo visitando sull’Ambulatorio mobile” spiega Natalia, la psicologa moldava del nostro team a Balti. “Ai traumi psicologici causati dai bombardamenti, dai lutti, dal distacco, si aggiunge la preoccupazione per gli uomini e gli anziani rimasti in Ucraina. La stessa tecnologia che permette di tenersi in contatto con i propri cari è anche un’importante fonte di stress: tutti, anche gli adolescenti, hanno installato sugli smartphone un’applicazione che segnala le sirene antiaeree in tutte le città ucraine. Questo li fa rimanere in allarme costante, perché non riescono ad avere un riscontro immediato di ciò che succede e non hanno cognizione della portata dell’allarme”.
La testimonianza di una famiglia
Natalia ci racconta anche la storia di una famiglia che qualche giorno fa è rientrata in Ucraina, a Odessa. Il figlio maggiore, di 17 anni, era determinato a sostenere gli esami per il diploma. Sua madre e sua sorella minore, che erano con lui in Moldavia, lo hanno accompagnato.
“La prima a richiedere le nostre cure è stata la madre, era arrivata al Politruck per un check-up. Lavoriamo con un approccio multidisciplinare, per questo anche io ero presente durante la visita.
Mi ha raccontato del viaggio intrapreso con i due figli, poi durante il colloquio sono venuta a conoscenza del fatto che alla figlia L. era stata diagnosticata l’epilessia. Non aveva mai iniziato le cure prescritte per la difficoltà di reperirle in Moldavia, così ci siamo offerte di visitarla. Grazie al rapporto di fiducia che si è instaurato abbiamo scoperto che la ragazza era arrivata alla diagnosi attraverso un percorso tortuoso dopo l’insorgere della pandemia da Covid-19. Un evento traumatico per lei, come per molti altri giovani, che ha dato luogo a numerose manifestazioni psico-fisiche: tra queste, anche gli attacchi epilettici.
A una situazione psicologica già compromessa si è poi sommato il trauma della guerra, della fuga e oggi della paura di quel che potrà succedere al ritorno in Ucraina. A tutto questo si aggiunge l’angoscia per il fratello, quasi 18enne, che a breve potrebbe essere chiamato a combattere”.
La famiglia ci ha informati della decisione un paio di settimane prima di partire: volevano riuscire a chiudere il percorso di supporto psicologico che avevano avviato. Per noi è importante che nulla rimanga in sospeso: “Per questo”, ci spiega Natalia, “abbiamo garantito a L. più appuntamenti durante le sue ultime settimane a Balti. Tra una seduta e l’altra le ho lasciato delle attività da fare a casa, per poi verificare i suoi progressi all’inizio della seduta successiva. La famiglia è consapevole del rischio che tutti loro corrono ma nonostante siano spaventati sono risoluti a non separarsi”.
Le attività dedicate ai bambini
Mentre alcune famiglie partono, molte altre restano e tante hanno trovato rifugio presso strutture pubbliche o private.
Tante hanno bambini e spesso sono gli stessi genitori che ci richiedono un aiuto psicologico per i loro figli. Avendo vissuto e interiorizzato l’esperienza della guerra e della fuga dal proprio Paese, tanti iniziano a manifestare disturbi psichici, panico, ansia e stress perdurante. Si sentono in costante pericolo dopo il distacco dalla famiglia e dal gruppo sociale, senza più punti di riferimento.
Con la chiusura delle scuole abbiamo ritenuto opportuno offrire non solo ai più piccoli, ma anche a pre-adolescenti e adolescenti, uno spazio ludico per impegnare il tempo libero e ridurre il rischio di lunghi momenti di tempo libero disorganizzato, vuoto e “noioso”.
Da giugno, in convenzione con il Dipartimento di Pedagogia dell’Istituto Formativo “Ion Creangă” di Balti, è nata l’esperienza dei Centri ludico-educativi. Sono aperti dal lunedì al venerdì, mattina e pomeriggio; l’accesso è gratuito e rivolto ai minori di ogni età. A oggi abbiamo accolto oltre 60 bambini e ragazzi.
“I bambini ritornano a fare i bambini, a rivivere la propria età.
I primi giorni stavano fermi sulle loro sedie, senza muoversi e senza parlare, come – possiamo immaginare – nei bunker in cui sono stati nascosti. Il carico emotivo e traumatico dell’esperienza si manifesta così, o attraverso comportamenti conflittuali tra pari o oppositivi nei confronti degli adulti, con giochi disorganizzati e vagabondaggi casuali nei parchi assolati della città.
All’inizio il gioco preferito era stare sotto i tavoli. Abbiamo programmato le attività da proporre giorno per giorno in base al contesto e alle caratteristiche di ciascuno” racconta Natalia: dai compiti di scuola alla ginnastica, dalla “scatola dei pensieri” alla psicoeducazione sui temi del conflitto, dell’uguaglianza. Mano a mano la partecipazione si è estesa anche ai bambini moldavi che insegnano i primi rudimenti di lingua rumena ai loro coetanei ucraini. “Perché quando andiamo al supermercato a comprare il gelato vogliamo capire cosa ci chiedono e saper rispondere”, ci dicono. Da qui parte una corrispondenza, uno scambio reciproco di descrizioni dei “bei posti che ci sono nel mio paese”.
I ragazzi, assieme agli educatori e alla psicologa, imparano una tecnica di respirazione che poi insegnano anche a casa: gli esercizi di decompressione e stabilizzazione emotiva tipici degli interventi clinici nelle emergenze, diventano così una risorsa che oltrepassa le mura del Palazzo della Cultura che accoglie la nostra iniziativa e si diffonde attraverso i villaggi.
Molte madri ci hanno anche chiesto consigli su come rispondere in maniera giusta alle domande che i figli fanno loro: è importante capire come spiegare la guerra ai bambini, specialmente a coloro che ne hanno fatto esperienza diretta, per le importanti ripercussioni sul futuro di una generazione di minori. I bambini traumatizzati, se non ricevono un sostegno psicologico adeguato, potrebbero in futuro sviluppare diversi problemi tra cui depressione, comportamenti aggressivi e autodistruttivi.
Lo scopo del nostro intervento
Quello che offriamo sul Politruck è un intervento psicologico che ha lo scopo di contenere e ridurre il disagio dovuto alla reazione all’evento traumatico e le possibili ripercussioni sullo stato di salute psicofisica della persona. Si ottimizzano così i tempi della cura e si evita che si accumulino, nel tempo, ad altri disturbi.
Un intervento di primo supporto psicologico che si va a sommare all’assistenza di base medico-infermieristica e ai servizi di orientamento. Scopri di più sul progetto di assistenza ai profughi in fuga dalla guerra in Ucraina.