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Vivere a Mosul durante l’assedio

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Saja e Zahra nell'Emergency Hospital di Erbil, in Iraq

Saja ha dodici anni, anche se ne dimostra molti meno, e adesso è ricoverata all’Emergency Hospital di Erbil, in Iraq. Viveva con la zia a Mosul, in una casa crollata a causa di un bombardamento. È rimasta intrappolata tra i cadaveri, la mamma Zahra l’ha ritrovata con il corpo pieno di schegge, senza voce, così traumatizzata da non permettere a nessuno di toccarla.

“E la vita di Saja, durante l’assedio, com’era?”, chiedo a Zahra. Saja, come la maggior parte dei bambini, non ha potuto frequentare la scuola per anni. I programmi scolastici, negli edifici scolastici ancora in piedi, erano stati modificati in una logica di guerra: “I bambini non erano neanche liberi di disegnare, le immagini dei cartoni animati che decoravano le classi scolastiche… anche quelle erano haram: vietato raffigurare qualsiasi creatura vivente”.

Haram è tutto ciò che è proibito, mentre halal è tutto ciò che è permesso dalla Sharia, secondo la rigida interpretazione dell’ISIS.

“Tutti gli uomini erano costretti a portare la barba, le donne il burqa. Frustate e scariche elettriche erano la punizione per chi disobbediva. Non era consentito utilizzare il cellulare, né fumare sigarette o indossare i jeans. Nonostante la scarsità di cibo non potevamo consumare neanche la carne surgelata, è haram” racconta Zahra.

Dopo circa tre anni di dominio dell’ISIS sulla città e otto mesi di combattimenti, il 9 luglio Mosul è stata liberata. Ma rimangono le rovine della città, circa un milione di sfollati, le migliaia di civili uccisi e tutti quelli che hanno ancora bisogno delle nostre cure. Da gennaio a oggi, a Erbil abbiamo curato oltre 829 vittime del conflitto: più del 40% erano donne o bambini.

– Rossella, staff di EMERGENCY