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“Giacomo, perché non la saluti?”

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Ho incontrato Ahlam per la prima volta a giugno, in uno dei campi profughi vicino a Mosul.

Era con il padre, la madre e un fratellino. Quando sono entrati nella stanza mi si è stretto lo stomaco: stava in braccio al padre, entrambe le sue gambe erano state amputate, sembrava così fragile e indifesa che dava l’idea di potersi spezzare in due in qualsiasi momento. Malvestita, sporca, sottopeso, con le ferite infette: subito abbiamo deciso di trasferirla all’Emergency Hospital di Erbil, dove il nostro team avrebbe potuto cominciare a guarire le ferite alle gambe. Ma la prognosi restava negativa e così il nostro umore.

La settimana scorsa ero al Centro di riabilitazione di Sulaimaniya. Mentre camminavo nei corridoi, una bambina mi si avvicina e mi sorride con tutti i suoi dentoni bianchi. Subito mi si avvicina Hawar, il coordinatore del progetto: “Giacomo, perché non la saluti?”
Improvvisamente sono riuscito a collegare quegli occhioni ad Ahlam. Raramente mi emoziono, ma questa volta ho quasi pianto nel vederla lì nel nostro Centro, bella, in carne, vestita bene e, soprattutto, felice. Mi sono ricordato di tutti gli sforzi, il lavoro, le difficoltà, le notti insonni, i mal di stomaco e le occhiaie. Il sorriso di Ahlam è stato come una secchiata d’acqua fresca piena di ricordi ed emozioni.

Ahlam nel nostro Centro di riabilitazione di Sulaimaniya in Iraq

A volte, presi dalle urgenze e dalla frenesia del lavoro, è facile dimenticarsi dell’impatto che ciò che facciamo ha sulla vita delle persone. Ringrazio Ahlam per avermi ricordato quanto il nostro lavoro serva e quanto abbia un grande impatto su tutti i nostri pazienti.

Ringrazio Ahlam per avermi ricordato quanto, tutti insieme, possiamo fare la differenza.

— Giacomo, Coordinatore del Programma Iraq